Io ho un nome. Una storia vera by Chanel Miller

Io ho un nome. Una storia vera by Chanel Miller

autore:Chanel Miller [Miller, Chanel]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, General
ISBN: 9788894814675
Google: 8xXCDwAAQBAJ
editore: La Tartaruga
pubblicato: 2019-11-27T23:00:00+00:00


Lunedì, seconda settimana

Tutti erano tornati al loro posto, come se non ce ne fossimo mai andati. Prima che iniziasse il contro-interrogatorio, il mio D.A mi fece andare, nella mia nuova camicia blu e con un pennarello rosso in mano, fino alla parte anteriore dell’aula, dietro di me un grande foglio bianco. Sentivo il desiderio di disegnare, volevo che la giuria gridasse nomi di oggetti e animali che io potessi portare in vita per loro, per dare loro un assaggio del mio vero io prima di tornare a essere Emily.

Sul foglio c’era una cronologia che sembrava una colonna vertebrale verticale, segnata in verde e blu da quelli che avevano testimoniato prima di me. Il mio D.A mi disse di annotare gli orari in cui avevo provato a telefonare a Julia e a Tiffany. Esitai, riluttante a girare la schiena a tutti mentre scrivevo. Così mi girai, spalla a spalla col foglio bianco, piegando il mio polso in modo strano per scrivere sulla carta gli orari che ricordavo dalla mia cronologia di chiamate. I miei numeri rossi risultarono piegati, schiacciati tra altri orari segnati. Non aveva altre domande. Andai a sedermi.

L’avvocato della difesa si alzò senza togliere gli occhi dal suo blocco per appunti. Era un uomo compatto, rigido. Non ci fu alcun saluto, niente buongiorno, nessun sorriso. «Chanel, in riferimento alla testimonianza che ha dato questa mattina, relativa a questi screenshot: e… e quello che ha visto sul suo telefono il giorno dopo, non solo non ricorda alcuna conversazione, lei non ricorda di aver fatto nessuna di queste chiamate, giusto?»

Sussultai, le mie righe di pennarello rosso cancellate in un colpo solo. Stava fissando il suo blocco come se fosse il mio curriculum e questo fosse un colloquio di lavoro, chiedendomi perché pensassi di essere abbastanza qualificata per presentarmi.

«Sa che ora collocare il suo ultimo ricordo alla casa del Kappa Alpha, quando stava sul patio con sua sorella?»

Dichiarai un orario.

«Lei non ha alcun modo per conoscere quell’orario. Questa è la sua stima migliore, giusto?»

Mi sentivo già come se sapessi meno di quanto avessi pensato all’inizio.

«Ora, lei ha testimoniato… all’inizio della sua testimonianza di venerdì ci ha fornito la sua altezza e il suo peso. Quei numeri che ci ha riferito erano la sua altezza e il suo peso del 17 gennaio 2015?»

La mia mante si svuotò. Non sapevo quanto pesassi il 17 gennaio.

«A un certo punto, nella sua testimonianza, ha detto – in merito all’eventualità di andare alla casa del KA – ha detto qualcosa riguardo al fatto di andarci con sua sorella; che si sentiva più sua madre che sua sorella. Cosa vuole… cosa vuole dire con questo?»

Avevo sbagliato a dirlo? Sembrava così irritato, come se avesse una fila di cento persone dietro di me in attesa di parlare con lui. Chiese se quella notte ero stata accompagnata al parcheggio Tresidder Memorial Union. Non avevo mai sentito quel nome, l’avevo sempre solo considerata un’area asfaltata.

«Era il parcheggio vicino alla libreria della Stanford», dissi.

«È dietro la libreria o davanti?»

Ma nessuna delle due era la risposta; era il parcheggio adiacente alla libreria, che era al centro del campus.



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